Negli ultimi tempi, si è discusso molto di crimini efferati e della responsabilità di chi li compie. Questo ci porta a riflettere sullo stato della psichiatria e sul modo in cui la società affronta le patologie mentali.

La chiusura dei manicomi negli anni ’70, ispirata da idee come quelle di R.D. Laing, rappresentò una svolta epocale. Si promuoveva l’idea che la malattia mentale fosse il prodotto di dinamiche familiari oppressive e che la soluzione risiedesse nella libertà individuale e nella destrutturazione dei vincoli tradizionali, come quelli familiari. Ma cosa è cambiato davvero da allora?

La società ha scelto di abbandonare le famiglie e di affidarsi allo “Stato madre”, offrendo farmaci, metadone e poco altro. Nel frattempo, si è diffusa una narrativa che considera i disturbi mentali come mere conseguenze di contesti difficili, attribuendo ai genitori la colpa per ogni disfunzione. Si è evitato perfino di utilizzare parole come “pazzo” o “malattia mentale”, preferendo un linguaggio edulcorato che spesso svuota di senso il problema.

Il risultato? Famiglie lasciate sole ad affrontare situazioni insostenibili, tra sensi di colpa, ricoveri forzati e violenze domestiche. Il sistema sembra essere più preoccupato di proteggere i diritti dei malati psichiatrici che di tutelare le vittime delle loro azioni.

Una società capovolta

Si è assistito a un ribaltamento dei ruoli: la vittima diventa carnefice e il carnefice, vittima. Un figlio violento che maltratta i genitori viene giustificato perché “non è stato amato abbastanza” o perché “la società lo ha deluso”. Ma fino a che punto possiamo continuare a deresponsabilizzare?

Dal ’68 in poi, si è alimentata l’idea che il figlio sia il centro assoluto della famiglia, un “dio minore” da venerare. Questo ha portato a un individualismo esasperato, in cui la colpa viene sistematicamente attribuita ai padri, alla società o a chiunque altro, tranne che all’individuo stesso.

Riconoscere il problema

È arrivato il momento di dire basta. Gli psicotici esistono, e le loro patologie possono portare a comportamenti autolesionisti o persino omicidi. Non possiamo più ignorare la gravità delle dissociazioni psichiche, che spesso si manifestano in atti di crudeltà e violenza.

Le neuroscienze e la psichiatria moderna ci insegnano che è necessario intervenire con fermezza, difendendo le famiglie e ponendo confini chiari a chi non è in grado di autogestirsi. La magistratura deve affiancarsi alla psichiatria per proteggere la società, senza cadere nella trappola del “poverino”, che giustifica ogni azione in nome di un presunto trauma passato.

Recuperare valori autentici

Il vero mostro non è solo la malattia mentale, ma anche la nostra incapacità di affrontarla con lucidità e coraggio. È il sotterramento dei valori morali e intellettuali che hanno fondato la nostra civiltà, come il principio di causa-effetto.

Dobbiamo smettere di idealizzare chi compie atti mostruosi o di considerarli esclusivamente vittime delle circostanze. È tempo di un cambio di paradigma, che restituisca dignità alle famiglie, valore alla responsabilità individuale e concretezza al concetto di giustizia.

In questa nuova prospettiva, la psichiatria deve tornare a essere una disciplina al servizio della società, capace di tutelare tanto i pazienti quanto le vittime dei loro disturbi.

Sintesi dell’articolo originale che potete trovare qui

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