Era abituato così fin da piccolo. Se piangeva, gli davano qualcosa di molle e dolce, chi lo sa magari una caramella, un qualcosa che lui si ricorda di aver avuto: una sensazione forte e precisa assieme di dolce consolazione. Era figlio unico: aveva i genitori separati da quando aveva memoria di se stesso.
Aveva un nome di cui andava orgoglioso: Alessandro. Sognava di diventare forte e e fiero, di diventare ingegnere o pilota: insomma aveva aspirazioni e ambizione. Era affidato praticamente ai nonni materni, perché la madre lavorava tutti i giorni e distrattamente gli dava la buonanotte tutte le sere. Se la ricorda poco la
mamma come presenza affettiva.
Anche il padre, che vedeva di domenica, se lo portava pietosamente da un snack bar all’altro. Oppure da una pizzeria ad un ristorante con vista mare. Tant’è. Il vero cibo buono, glielo faceva la nonna che praticamente viveva per lui, per fargli da mangiare e vederselo diventare grande e grosso. Tutto filava bene fino alla prima e seconda media. Di contrasti non ce ne erano tantissimi. Tuttalpiù, la madre non nascondeva un atteggiamento di marcato pessimismo circa il fatto che lui a ginnastica non ci voleva andare. E neppure a giocare a calcio o a pallavolo. “Diventerai una palla di grasso”, diceva ma a questa constatazione non seguiva un ordine bello preciso e secco, bensì un mugugno generalizzato, che non portava poi a nulla di fatto. Solo a un po’ di scontentezza diffusa, a un clima familiare opaco.
Alessandro si lasciava viziare volentieri da tutti, in particolare modo da suo nonnn e da sua nonna che preparavano soprattutto per lui delizie di ogni genere. Cosi facendo, Alessandro si sentiva il reuccio della situazione. Chi più, chi meno, tutti erano abituati a “dargli” qualcosa in cibo, una specie di remunerazione affettiva espressa a manciate di cose da mangiare. Questo rappresentava il loro modo di dirgli che gli volevano bene.
Ma a dodici anni, anzi a tredici successe a lui, quello che succede a tutti. Arriva una giovinezza impetuosa fatta di sogni erotici e di nuove connotazioni fisiche. Il suo volto di bambino gli sfugge, si riempie nelle parti giuste e doverose della sua nuova virilità nascente, gli viene una voce di ferro, proprio tuonante, ma invece di dimagrire, come tutti gli avevano detto (“vedrai, che quando diventerai grande…”) acquista chili,a percentuale. E’ per fortuna bello alto, ma è come se fosse tutto insaccato in una forma a parallelepipedo, nessuna leggerezza ai fianchi e al collo, le natiche grasse, le gambe come due tronchi. Alessandro inizia ad avere le prime crisi di identità. Quando era piccolo che voleva diventare alto e snello pensava che bastasse la volontà per diventare ciò – che egli stesso si prefigurava, come schiacciare un bottone e click, cambiare!
Invece cosa succede? Era abituato a prendere tutto ciò che desiderava sia al ristorante col padre, sia i giorni della settimana coi nonni. Una cosa davvero deliziosa e divertente.
Per di più la madre, che lo sgridava, ma che esisteva poco nella sua vita, lo prendeva in giro, ma non l’aveva mai portato né a nuotare, né a camminare. E anche lei esprimeva il suo bisogno di piacere al figlio facendogli, per esempio, il suo piatto preferito. Lui si era abituato a tanto cibo e tanta televisione. Le sue droghe leggere erano quelle.
I coetanei con cui faceva pochi sports ormai non lo invitavano più. Ed ecco Alessandro che si affaccia alla sua primavera con venti chili di più addosso. Cammina come un orso. L’andamento non è flessuoso, ma rigido, impacciato come un automa. E più egli si sente ridicolo e più sfugge i compagni, le compagne soprattutto. Ha paura di essere deriso per la sua mole. E invece di invertire il circolo vizioso, decide, come dire, di infischiarsene e e di andare avanti con la filosofia del me ne frego. Lui tanto aveva i suoi nonni, la sua casa, i suoi divertimenti, ormai anche i suoi primi filmini osèes… La vita non gli sembrava brutta come in tanti film. Anzi tutto sommato viveva come in un lago fatto di miele da cue era impossibile alzarsi e andare via.
I suoi amici avevano la ragazza? Ma prendevano anche un sacco di bidoni! I suoi amici andavano in montagna? Lui se ne stava comodamente in panciolle Che bisogno c’era di sbattersi tanto? A 15 anni pesava qualcosa come 98 kili. A questo punto il medico scolastico chiama la madre, il padre, insomma la famiglia. Prescrive ad Alessandro di fare ginnastica, movimento, aria aria, via… via, marciare! Ma i nonni gli sussurrano “Ma dai! Tutto passerà da solo!”… e di questa filosofia e di questo scudo fatto di Nutella Alessandro si fa riparo per non invertire la tendenza alla pigrizia e alla pinguedine.
In fondo, si sentiva amato e protetto in questo modo, che volere di più? Risultato, a 16 anni diventa un vero bidone, fatto di 100 e più chili, per nascondere i quali Alessandro si fa crescere la barba (in… barba a tutti). A questo punto, la madre, che invano aveva protestato, scende in campo e lo porta dall’endocrinologo, che gli trova carenza di testosterone. Poi lo porta dal neurologo, che gli trova l’astenia e gli da le vitamine. Poi lo porta dallo psicologo che gli trova delle “lacune di base, nonché una carenza di affetto”.
E cosi Alessandro giovane sedicenne senza ragazze e senza amici ha tre dottori che lo curano, due nonni come angeli protettori e nessu vero riferimento paterno che gli dia una vera smossa. Si mette a dieta, ma poi ricasca, perché il cibo è una vera droga per chi vi è assuefatto.
Inizia a pensare che forse la sua famiglia era una specie di gabbia dorata dove era stato nutrito come i polli, all’ingrasso, altroché affetto. E cosi finisce in depressione. Alessandro pensa di essere stato come preso… per la gola: cioè sedotto, veramente sedotto e captato come un uccello con il laccio forte dell’istinto primario, cioè la fame. Pensa che all’età di diciotto anni è come se fosse rimasto bloccato ai primi anni di vita, quando tutto passava per la bocca. Era un gigante… nano: cioè con una psicologia da nano! E si disse, lui, da solo, basta.
Iniziò ad andare in palestra. Alessandro comincia a sottrarsi al fascino e alla seduzione molle del cibo che in realtà, quando non è necessario, blocca la crescita, assuefa e fa assuefare.
Alessandro inizia a imporsi una disciplina dura fatta di alzatacce mattutine, di chilometri prima passeggiati e poi corsi. Da poco socievole e chiuso con gli amici e da chiaccherone in casa, inizia una marcia di rivolta, in cui chiude la bocca in casa ed esplode con gli amici. Frequenta la palestra e smette la psicoterapia, acquista fiducia e fermezza. Diventa meno gentile, ma più “uomo”, più propenso a dire no che si.
A venti anni conquista la prima medaglia con se stesso, facendosi la ragazza e annunciando contemporaneamente che si sarebbe spostato in un’altra città per studiare. A 22 anni è robusto e forte come un bell’albero.
Soprattutto è riuscito a volare con le sue ali dalla dolce, pericolosissima prigione di un lago di miele. La suggestione era finita. L’incantesimo non funzionava più. Ora esistevano altre più consistenti sirene.
Spesso nelle storie di alcune persone che hanno subito o vissuto periodi “in eccesso di peso” esiste oltre che una comprensibile base di umana pigrizia anche un’altrettanto comprensibile, ma pericolosa tendenza a un eccesso di amore.
Il sintomo ‘Obesità’ o ‘bulimia’ non è detto, come spesso succede, che nasconda una carenza affettiva. Se mai il contrario, oppure, come in certi casi, una confusione generazionale, dovuta al fatto che, soprattutto nelle famiglie dei separati, non si sa di chi è effettivamente la leadership morale ed educativa al bambino resta orscuro chi deve dare gli ordini e quando. Una alimentazione pasticciata è di per sé sintomo di qualcosa di poco corretto in famiglia.
Per ovviare a questo problema, la prima cosa da fare è… mettersi in moto, per vietare che gli eccessi, sia di cibo che di amore ci impediscano di vivere liberamente.
America Oggi, 1 aprile 2000