Un giorno incontra Luigi R., 50 anni, commercialista. Un uomo semplice, tutt’altro che bello ma pieno di attenzioni per il bambino. Gentile, all’antica con molta voglia di risposarsi. E poi con un gran senso dell’umorismo. E allora perché no? Perché non tentare? Opportunismo? Forse. O meglio, senso di realtà. Ma bisogna essere chiari. Lei glielo dice: non ti amo però accetto di sposarti. Credi che funzionerà? Non lo so, risponde lui, proviamoci.
Non finisce bene invece la vicenda di Teresa B., 22 anni, decisa a tutto pur di uscire dalla casa dei genitori. Ma la condizione è una e inderogabile: o ti sposi o resti in famiglia. Angelo R., 26 anni, antico fidanzatino del liceo nel frattempo ha fatto strada e incontra il favore dei genitori di lei, è laureato, ha la casa, ottime prospettive di carriera. A lei un tempo piaceva, ma oggi forse non più. Eppure la via sembra segnata. Farò dei figli, avrò la sicurezza, lui mi vuole bene… E allora okay. Vada per i fiori d’arancio, per i confetti… Ma la ragione a volte può avere torto. La convenienza risultare «sconveniente». Teresa oggi ha lasciato il marito. Ma ci sono voluti sei anni perché crescesse e capisse che anche una scelta di ragione deve essere consapevole e matura.
Ti sposo perché mi conviene. Ti sposo per interesse, per opportunismo. Per procurarmi uno status sociale. Per uscire dalla casa dei miei genitori. Per non restare da solo, perché mi dai sicurezza e affidabilità. Per uscire dal mio paese d’origine dove faccio una vita angusta, senza prospettive. Perché sei ricca (o ricco), fai una bella vita e ami i viaggi, come me. Perché hai molte relazioni sociali e mi potrai aiutare nel mio lavoro. Perché sei nobile e il tuo blasone mi fa tornare ai più segreti sogni di adolescente, quando immaginavo castelli e titoli araldici. Per ottenere un passaporto, una casa o un permesso di lavoro come succede ai protagonisti del film Green Card-Matrimonio di convenienza (lei, Andie McDowell, vuole un lussuoso appartamento a Manhattan che però può essere affittato solo a coppie sposate; lui Gerard Depardieu, ha bisogno del permesso di lavoro per restare negli Usa e per ottenerlo deve sposarsi. Per opportunismo convolano a ipocrite nozze e all’inizio non si tollerano. Per finire perdutamente innamorati). O ancora: ti sposo perché abbiamo gli stessi gusti, interessi e progetti anche se il nostro non è mai stato un colpo di fulmine. Perché con te potrei costruire un futuro accettabile. Con ragione, senza passione. Con buon senso ma senza l’accecamento dei sensi. Appunto, matrimonio di convenienza. E l’amore? Forse verrà. Per interesse, sì, e non me ne vergogno.
E’ possibile oggi fare ancora un discorso del genere? Oggi che, alle donne, sono state aperte tutte le prospettive (o quasi) di realizzazione e lavoro, oggi che il matrimonio non dovrebbe più essere un modo per trovare qualcuno che provveda al sostentamento e alla sicurezza materiale? Insomma che senso ha parlare di matrimonio d’interesse in una società in cui le scelte affettive possono essere libere e le unioni «combinate» il vetusto retaggio di un passato ottocentesco? E soprattutto può renderci felici, appagati, contenti? «Io credo di sì», dichiara Francesco Alberoni, sociologo, sposato per la terza volta, felicemente, con Rosa Giannetta Trevico anch’essa sociologa. «Penso che la decisione di sposarsi avvenga quando in verità troviamo la persona che risponda a certi requisiti. Ad esempio: se un uomo decide che vuole sposare una donna ricca o socialmente introdotta e poi la trova e riesce a sposarla, beh, allora credo che abbia raggiunto il suo scopo. E le assicuro che ho visto che i matrimoni che nascono così hanno sempre altissime chance di riuscita. Certo, tutte le persone che si sposano in questo modo “sperano” anche di innamorarsi. Ma a priori non è affatto matematico che questo possa succedere».
A spezzare un’altra lancia a favore delle unioni di «ragione» c’è anche Alessandra Lancellotti, psicoterapeuta della coppia. «Le coppie che investono tutto sul sentimento finiscono spesso in bancarotta. I reduci del Grande Amore affollano il mio studio ogni giorno. Non riescono a risolversi alla sconfitta del sentimento. Ecco perché dobbiamo imparare di nuovo a coniugare cuore e ragione, a considerare freddamente anche scelte importanti come il matrimonio. Essere un poco più pragmatici e maturi dopo tanto parlare di passione e di sensi scatenati come è accaduto negli ultimi due decenni. Parole come reciproca stima, aiuto e solidarietà le avevamo dimenticate da tempo. E se il matrimonio è anche “promozione” tangibile di se stessi che male c’è? La verità è che tutti i mammoni dovrebbero essere di “ragione”. Io non credo al colpo di fulmine. Nel senso che credo provochi solo disastri, macerie, sviamento. È infantile, immaturo. Inoltre aedo che ogni coppia dovrebbe “lavorare” sulla fase pre-contrattuale di un legame poiché il matrimonio è un contratto che deve durare nel tempo, sulla base di patti chiari. Anche sulle cose più banati tipo: la carriera la faccio prima io o prima tu? Quando in mezzo alla notte il bambino si sveglierà ti alzi tu o mi alzo io?…» Ma a comportarsi così sono pochissimi. E quei pochi si vedono accusati di calcolo a tavolino, freddezza, cinismo. Le scelte di ragione forse pagano ma in quanto a consensi sono piuttosto impopolari. «L’ha sposato solo per i suoi soldi»; «Amarlo? Ma stai scherzando. Volevo la villa sulla Costa Azzurra e il suo aereo privato»; «Cercava un uomo solido, un padre per suo figlio». Quante volte ci è capitato di ascoltare banalità di questo genere, dette con malcelata disapprovazione? Eppure anche una scelta di questo tipo può avere motivazioni profonde, solo apparentemente fredde e raziocinanti. Dettate da consapevolezza e senso della realtà. Non necessariamente aride. Poiché sposarsi per convenienza non significa per forza escludere a priori una buona intesa sessuale o perfino l’ amore. «Cereo ci deve essere una dose di reciproco gradimento, viceversa genera frustrazione. Ma la cosa non accade anche nel caso di grandi passioni? […]
Grazia. 7 aprile 1991