Questa è la storia triste per un verso, paradigmatìca per un altro, di quanto un “mancato ascolto” possa portare guai irrimediabili. Giustina è una ragazza in eterno conflitto con se stessa: ha 22 anni, una buona laurea, in filosofia, ma poche idee chiare circa il suo futuro. La famiglia, dell’alta borghesìa, spinge perché vada all’estero e si prepari per le frontiere del mercato uropeo. Ma Giustina, giustamente o no, vuole fare la giornalista. Quando inizia a scrivere, i suoi “pezzi” sono retorici e inamidati. Nessuna redazione li vuole. Allora sceglie (si fa per dire) di darsi all’insegnamento. Nel frattempo conosce una specie di “guru” col codino di nome Francesco: di lui si innamora in maniera acritica. Quello che dice Francesco per lei è Vangelo. Motivo per cui iniziano i primi diverbi in famiglia, le prime serie rimostranze circa il tipo di abbigliamento, il modo d’essere in aperto contrasto con il trend della famiglia d’origine di Giustina. Che più riceve critiche più si rafforza nell’idea che Francesco sia quasi un dio.
Vani gli sforzi di Elda, la madre, di farle notare che aveva un incarico precario all’Università. E poi che cosa avrebbe fatto? Inutili i tentativi del padre di dissuadere la figlia circa la mancanza di un buon background familiare di Francesco. Niente. Questo amore sembrava la risoluzione di tutti o quasi tutti i problemi esistenziali di Giustina che viveva Francesco con tutta l’intensità, quasi la voluttà masochistica di un fiore nel deserto. Quest’ultimo, poi, dichiarava apertamente di non essere in linea con la cosiddetta civiltà occidentale. E quindi ostentava atteggiamenti fortemente orientaleggianti, da vero saggio, in contrapposizione voluta e forzosa contro le stupidità del mondo ad apparteneva. Quindi niente macchine (che bisogno c’è di inquinare e spendere soldi in questi strumenti d’inciviltà), niente televisione, niente carne, niente indumenti “civili”, niente scarpe (solo da tennis), niente borsa di cuoio (sono così belle quelle colorate di stoffetta!). Insamma, niente segni di allineamento
con la società di cui si fa parte. Morale. Questo atteggiamento adolescenziale, quasi rapsodico, gli alienava sempre di più amicizia e i datori di lavoro. Per cui egli veniva isolato sempre di più. E man mano veniva isolato più Giustina ci teneva a essergli vicino, a essere lei l’unica persona che lo capiva, e in grado di apprezzarne in modo altrettanto adolescenziale le “qualità”, quelle che nessuno vedeva in lui. Questa complicità a due li teneva legati con il filo di ferro. Essi si sentivàno forti proprio perché rìtenevano di essere due contro tutti. Contro il mondo che ‘non li capiva, contro la società cattiva che non li accettava, contro la stupidità del cosiddetto mondo civile essi pensavano di essere quasi i detentori di nuove rivelazioni e verità. Sicché si sposano in quattro e quattr’otto. Vanno ad abitare in un monolocale che sembra una cantina (ma che per essi rappresenta il cielo in una stanza). E cercano di essere Una famiglia normale. Cosi Giustina cerca di avere figli. E qui inìzia il calvario. Prima le tube sono occluse, poi arriva la vaginite, quindi iniziano delle strane emorragie “idiopatiche” senza fibromi né problèmi di tipo organico. Ed ecco che arriva da me un giorno. Giustina. Ha trent’anni, ma ne dimostra di meno. Porta lunghe gonnellone con maglioni enormi. Ma da dove vien fuori? mi dico io. Il marito, poi, quando lo faccio entrare, sembra il ritratto tipico di un giovane precocemente invecchiato: i denti arsi di nicotina e capelli non pettinati e radi, un paio di scarpe da S. Francesco […] con sua moglie si prendono per mano e si stringono l’uno con l’altra prima di uscire. Entrambi perduti nel… paradiso perduto della loro eterna innocenza. Risultato: Giustina non può avere figli perché ne ha già uno di trent’anni che scambia il mondo per il cielo in una stanza, […]
L’indipendente, 1994