«Una proposta che pone l’accento sulla vergenza drammatica tra lavoro e carriera» «Credo che il discorso di Marina Salamon vada letto non come un attacco alla legge che tutela la gravidanza, ma come un tentativo di risolvere una divergenza drammatica: quella fra lavoro (e carriera) e maternità». Perché drammatica?
«Perché quello che io chiamo “il tempo della gioia” della donna non corrisponde quasi mai con il “tempo della gioia” del bambino. E’ inutile negarlo: la realizzazione professionale della madre è troppo spesso a scapito della serenità del figlio.
«In vent’anni di attività professionale io ho visto decine e decine di bambini soli. E altrettante madri incapaci di vivere bene sia il lavoro sia la maternità, donne continuamente lacerate da un conflitto insanabile». Dunque qual è secondo lei il vero nodo del problema?
«Credo che le donne abbiano bisogno di essere aiutate in un percorso che avrebbe dovuto portarle alla realizzazione umana e professionale. E invece rischia di confinarle in un’onnipotenza nevrotica».
Che tipo di aiuto? Possiamo fare degli esempi?
«Più strutture, più servizi, più possibilità di delegare al padre la gestione dei figli…».
Basta questo a sanare una lacerazione tanto grande?
«No, è importante che le donne imparino a scegliere. Per farlo devono ricorrere a tutta la forza la sicurezza interiore che hanno accumulato (magari in anni di attività professionale soddisfacente). Il criterio di scelta? Questo: i bambini non aspettano, hanno tappe di crescita irrevocabili. La carriera può attendere, subire pause, aspettare nuove riprese». Forse non tutti i datori di lavoro la pensano in questo modo… «Io mi rivolgo alle donne. E dico: abbiate fiducia in voi stesse. C’è un tempo per tutto. La nascita di un figlio apre il tempo degli affetti, della cura. Concedetevelo. Se siete brave professionalmente, al rientro anche questa scelta (questa esperienza unica) vi verrà riconosciuta. Il tempo degli affetti non esclude la carriera, ma le da continuità, le da un futuro».
Grazia, 30 ottobre 1994