La psicologa che la segue chiede garanzie per l’interrogatorio della ragazzina
SAVONA — Soraya Geri, 14 anni, la figlia di Ettore e di Gigliola Guerinoni. è stata, ancora una volta, la protagonista occulta del processo. Soraya adorata dal padre. Soraya che odia Brin. Soraya la ragazzina che si diverte a registrare le telefonate.
Lei, testimone d’accusa se accetterà di venire in aula e ripetere quello che dichiarato al giudice istruttore («Ho visto Brin agonizzante, ho dato un martello a mio madre, mia madre era nella stanza) per ora è al sicuro. “Lontana da un clamore che può soltanto farle ancora del male. Ale¬sandra Lancellotti, la psicologa che si è occupata della ragazza e che ora tiene i contatti con lei é preoccupata.
— Perché, dottoressa?
«Soraya è un’orfana di genitori vivi, due persone che abdicano il loro ruolo e non c’è nessun altro che dia alla ragazza delle indicazioni, dei modelli di realtà a cui attenersi».
— Soraya verrà a testimoniare?
«La decisione spetta soltanto a lei. A me, come psicoioga, fa paura un altro fattore».
— Quale?
«In quest’aula di Tribunale si affolla troppa gente. Per Soraya non esiste la possibilità di realizzare quella che io chiamo “la qualità d’ascolto giusta”».
— In altre parole…
«Soraya Geri non può permettersi di diventare il carnefice dei genitori. Per questo, chi vuole interrogarla, deve garantirla, tutelarla, fare in modo che possa esprimersi almeno lontana dalla vista del padre e della madre. Su questa ragazzina incombono due fardelli pesanti e opposti. Il primo: la presa d’atto della sua responsabilità individuale, l’unica strada che le consente di strutturare il suo senso etico».
— L’altro fardello?
«Se la ragazza parla in aula, padre e madre possono mettere in atto le proprie seduzioni nei suoi confronti. Se nessuno li ferma, l’ambiente — parlo sempre dal punto di vista psicologico — diventa rischioso. Soraya non ha modo di essere libera e, soprattutto, difesa».
— Eppure Ettore Geri, si presenta come un padre affettuoso.
«E’ la seduzione del “poveraccio”, che tende a suscitare pietà, che fa dire di una persona “poverino” e, in questo modo, la mette al riparo da ogni tipo d’aggressione positiva».
— Dopo aver assistito all’udienza, dopo aver visto il palcoscenico in cui
Soraya se lo vorrà dovrà muoversi, qual è il suo parere, dottoressa?
«Continuo a domandarmi, come mai nessuno pensa a lei, al suo avvenire. Un futuro che deve essere riempito da cose concrete: la scuola, la scelta degli amici, le vacanze».
— Per Soraya è meglio parlare o tacere?
«A me interessa soltanto una cosa: Soraya non deve essere aggredita da una storia in cui è finita senza sceglierlo. Se si presenterà in aula, devono garantirle un ascolto personalizzato. Soraya non può parlare se il processo si trasforma in un rito dove lei è incastrata in un ruolo. Sarebbe troppo rischioso».
La Repubblica, 23 giugno 1989