Quattro delitti nel giro di pochi mesi. «Colpa» della città
Quattro delitti a sfondo sessuale in poco tempo. Il delitto nasce su terreno minato: genitori abdicanti, poco competenti ahimè troppo spesso deludenti, troppo «bambini», producono patologie aberranti. Figli troppo spesso genitori, loro stessi genitori o finiscono col diventare scissi (e-o con doppia personalità) o finiscono in galera. Figli che non hanno avuto sponde contenitive, sponde egoiche da genitori infantilizzati (o resi assenti) cercano inconsciamente delle limitazioni che essi stessi non riescono, non possono darsi. E’ di recente (e sotto gli occhi di tutti) la richiesta di Fatma (ragazza madre che si fa cinque buchi di eroina al giorno) di essere «ricoverata» in carcere, di essere «fermata». Il paradosso è che Fatma, figlia che chiede sponde per la propria figlia appena nata per se stessa, viene respinta dalle autorità stesse deputate a «fermarla». L’abdicazione genitoriale è quindi totale. Dei genitori, della società stessa come sistema di controllo, dei giudici che chiudono un occhio. Così questa moltiplicazione di delitti (lo sfondo sessuale, è una richiesta latente, ma fortissima di punizione) è un tentativo «coperto», indiretto, disperato di avere norme che funzionano, regole che esistono, genitori che vigilano a co¬pensare l’assenza di base di una presenza educativa, senza la quale non c’è crescita di un individuo, né cultura. I delitti passionali sono da intendersi come il bisogno di essere «presi» e ricondotti ad una casa, dove l’individuo necessariamente, grazie alla sanzione, alla presa di colpa, diventa uomo.
I delitti di oggi sono queste «parole». Ce la dicono lunga sulla solitudine e sulla disperante mancanza di prospettive di questa città e di queste famiglie. Guai disattendere l’inconscia richiesta agita attraverso la delittuosa di essere puniti. Se verrebbe meno a una delle aspirazioni principali dell’individuo nella società umana: quella di pagare per valere qualcosa. Le attenzioni così come le giustificazioni per questi tipi di delitti non darebbero la possibilità a questi uomini di sentirsi in pace con la loro coscienza. Creerebbe altro bisogno di delinquere. Chi cerca giustificazioni per questo tipo di patologia in realtà la rafforza e contribuisce a crearla.
Sia esso avvocato, giudice, psicologo. Le attenuanti, così come le interpretazioni, lungi dal fermare la patologia, ne creano un’altra che è quella degli eterni sensi di colpa da cui non c’è remissione. Tutti questi delitti ci dicono che dobbiamo esserci, e in maniera ferma, coerente e sicura come cittadini responsabili. Come giudici giusti, incorruttibili. Senza questa cultura della norma, della regola del giudizio, dell’assunzione della propria “Individuale responsabilità”, c’è anarchia, mancanza di senso e finalità. Non c’è solo l’omicidio. C’è suicidio morale.
La Repubblica, 2 novembre 1989