Anna Sole, la chiamò il padre. Era l’ultimogenita di una famiglia di calabri emigrata in Liguria ai tempi in cui l’Ansaldo era ancora simbolo di efficienza pubblica, non di povertà.
Anna Sole aveva ricci biondi, quattro fratelli maggiori: il primo a quattordici anni già lavorava come garzone in una bottega del panettiere, gli altri studiavano, chi più chi meno. La madre faceva la casalinga e, a tempo non perso, lavava le scale di uffici e studi nelle vie eleganti dì Genova. Per questo un giorno incontrò, appunto sulle scale, un professionista che non sapeva di fumo. Il professionista era professore di diritto costituzionale, veniva dalla Calabria anche lui e “teneva” famiglia. Non parve vero a Luigina, detta Gina, di smettere le calze con i buchi per indossare quelle di seta. L’unico problema era non far scoprire al marito l’esistenza di queste calze che mal si combinavano con i conti domestici. Anna Sole da piccola era molto tenuta e curata. A dodici anni faceva da mangiare a tutti, fratelli e padre compreso. La madre era in giro a pulire le scale e dunque lei si prese volentieri l’incarico. Come in quel film “Rocco e i suoi fratelli”, Anna dedicava la sua vita appassionatamente a quella famiglia che gli doveva appunto il sole. Era lei che stirava e scopava, lei che friggeva il fritto e mondava le verdure. Lo faceva così bene che non si sentiva neppure che mancava la madre. Il padre, avvezzo a tornare a casa, a mangiare e poi a dormire per poter continuare il duro lavoro in fabbrica era comunque orgoglioso e felice di vedersi una bimba “alta” come dicevano, così giudiziosa e carina. L’assenza della moglie veniva così appannata da questa rigogliosa creatura che pareva essere nata appunto per riscaldare quella casa con quella sua dedizione così allegra e così poco vittimistica. Dal canto suo Luigina, detta Gina, potendo portare a casa più moneta e anche qualche soldo di allegria in più, non faceva mancare nulla in casa e anche i vestiti erano meno sciapi e più eleganti. A tredici anni Anna Sole ebbe le sue prime mestruazioni e si ricorda ancora la vergogna e la sensazione di essere come un animale strano, con quella cosa lì che le veniva fuori: una paura tremenda di essere scoperta e di dovere andare all’ospedale. La scuola l’aveva lasciata quando aveva dodici anni e nessuno le aveva detto niente. Pensò che fosse una cosa da nulla, cercò di parlarne con la madre, ma si vergognava troppo e lasciò perdere. Infatti, dopo pochi giorni non successe più nulla e lei in quella famiglia dì quasi soli maschi continuò il suo lavoro di quasi-madre. Ma dopo quasi un mese ecco che le viene la stessa strana sensazione, come di animale ferito e la paura aumenta con l’andare dei giorni finché andò a cercare la madre per quelle sue strane scale. Tante ne fece di scale finché un giorno bussò alla porta del professore e si vide come in una visione un altro tipo di madre. Tutta elegante e profumata, pettinata, agghindata, persino truccata. Lei che era un animale ferito e che aveva bisogno di dire quella cosa, si scusò quasi, fino quasi ad andarsene. La madre che dapprima si era fatta rossa e poi viola si riprese, la chiamò indietro, le chiese cosa avesse e perché mai fosse venuta a cercarla. Anna disse ciò che le stava succedendo e la madre l’abbracciò da una parte contenta di aver potuto partecipare alla nascita dell’adolescenza della figlia, dall’altra, preoccupata che capisse o che avesse capito, imbarazzata e titubante. Così le propose un patto: lei non avrebbe detto nulla del sangue e Anna non avrebbe detto nulla del fatto di averla trovata in quel modo in quella casa. Anche se le sembrava strano, Anna accettò il patto, e tornò a casa da una parte rassicurata dalle parole di sua madre e dalle sue spiegazioni, dall’altra impaurita per questa nuova responsabilità che le stava calando addosso di non dire nulla, ma di sapere assai. Anna Sole infatti da quel giorno divenne taciturna e poco allegra, tanto che se ne accorsero persino i fratelli e il padre, ma non ci fu verso di schiodarla da tanto mutismo. Insomma decretarono che Anna aveva cambiato carattere. Inoltre da quel giorno (i ragazzi avevano iniziato già da un po’ di tempo a farle la corte) decise in cuor suo di rimanere sola, di non fare certe cose, di non fare come sua madre soprattutto. Lo decise come i soldati quando vanno alla guerra: imbracciano il fucile via, vanno alla guerra perché così e basta. Per fortuna il lavoro in casa non mancava, e gli anni fecero presto a passare. Anche i suoi fratelli fecero presto ad andarsene di casa: uno si era addirittura laureato, quello che faceva il garzone aveva messo su la latteria e gli altri due avevano le fidanzate. Il padre, ben contento di avere Anna Sole tutta per sé, si guardava bene di dirle: “perché non esci? perché non vai a ballare?”. Tutti andavano via, tranne lei, che cocciuta, aveva sempre qualcosa da fare per rimanere in casa e non uscire. La madre si preoccupò di questa faccenda, la fece anche visitare, ma niente da fare. Anna Sole aveva deciso di stare tranquilla in quella tana che si era l’atta peraltro più bella. Dai tre locali più servizi in periferia vicino a Cornigliano, adesso vivevano vicino ad Albaro come i veri signori. La madre non faceva più la lavascale, ma faceva l’impiegata nell’ufficio di uno (lei primi professori di diritto costituzionale a Genova. E passa il tempo, la bimba dai ricciuti capelli color dell’oro diventa una zitellina di quasi quarant’anni: prima accudiva i fratelli, adesso accudisce i t-enitori che anziani,vanno persino d’accordo. Anna si sentiva poi la padrona di casa e ci teneva a tenerla lucida e profumata. Il suo buon umore se ne era completamente andato da quel dì, ma allora non c’erano tanti psicologi e la tristezza non si chiamava depressione, comunque andava bene a tutti che Anna Sole fosse obnubilata, quasi assente, con la testa fra le nuvole, senza desideri e senza emozioni. Ma un giorno incontra in parrocchia un tizio, camionista, trent’anni, forte, muscoloso, senza mezze misure che innanzitutto la guarda, la fa arrossire, la invita subito fuori. Non è possibile si dice Anna, quello ha sbagliato persona e dice “No. Non esco con lei, non la conosco”. “Ah. non mi conosci, ragione di più per conoscermi”, fa lui e la tira dolcemente per un braccio. Camminano in via XX Settembre. “Non è possibile”, si dice lei, “devo tornare a casa”. “A casa non ci torni stasera”, le dice il tizio che si chiama appunto Rocco e che viene dalla Sicilia. Anna è stravolta, confusa, imbarazzata, ma le fa piacere sentire tanta determinazione, tanta sicurezza, tanta volontà dì volerla. Decide di fare un salto, non sarebbe tornata a casa. Inutile tornare indietro, si disse con la stessa determinazione con cui si era detta che non si sarebbe voluta sposare mai. Lo fece come si fa quando si deve bere un calice amaro e non un nettare d’amore. Lo fece per volontà e non per passione, come un soldato appunto che in questo caso ubbidisce. Rocco poi la chiede in sposa, nonostante la differenza di età e malgrado il dissenso della famiglia, a cui veniva a mancare praticamente tutto, la madre, il padre, la sorella, la donna di servizio, nonché la tata. Tanto che al suo matrimonio piansero tutti davvero come tanti vitelli,ma non di commozione, proprio di vera tristezza. Il viaggio di nozze in Sicilia fu per Anna Sole un vero calvario, tutti che la guardavano, le somministravano occhiate di traverso, la ammannivano con dolci stradolci, la servivano in tutto e per tutto e lei non era abituata. Rocco pensava di darle una sensazione di essere proprio diventata regina, ma Anna si comportava ancora da Cenerentola. Ogni tanto si alzava a servire. Usciva malvolentieri e, nonostante la sua bellezza, indossava spesso, troppo spesso, vesti scure da persona anziana. Poi ci fu un fatto. Rocco perse la madre, e improvvisamente fu come se Rocco diventasse più SUO. Più Rocco era triste e si sentiva solo più ad Anna tornava il sole, lo stesso che le era stato regalato quando da piccola doveva accudire i suoi fratelli. E più Rocco aveva bisogno di lei, più Anna si sentiva felice, come in una nuova giovinezza d’amore, in cui Rocco era contemporaneamente suo marito e il suo bambino. In questa sua nuova certezza d’amore, fatta di dedizione e di partecipazione condivisa con le persone del suo piccolo paese, Anna Sole divenne il centro e il raggio di una nuova vita. Il miracolo era avvenuto. Finalmente poteva dedicarsi anima e cuore a qualcuno che l’aveva veramente voluta. Per questo e anche per qualcosa di più nacque il piccolo Mattia. Ora i genitori e i fratelli prendono il traghetto per venire a trovare un lembo di Liguria nella grande Sicilia. E anche a loro gli parve di rinascere. I genitori vanno a trovare Anna Sole e gli sembra di rivivere un sogno.
Oggi Magazine, 5 dicembre 1999