Adolfo è l’unicogenito di due coniugi anzianotti con genitori a carico. Arriva quando la madre ha 37 anni e il padre 42. I nonni materni, dal momento che i genitori lavoravano tutti e due al ristorante di loro proprietà, di fatto si sostituiscono ad essi, costituendo per Adolfo il punto di riferimento essenziale per la sua crescita, il porto naturale ed essenziale per la sua crescita.
Adolfo è un bel maschietto che rappresenta appieno l’orgoglio di una famiglia, quella del padre Aldo, ma soprattutto del nonno materno Alberto, che aveva perso un figlio, ucciso dalla leucemia quando era piccolo.
Di fatto nel cuore del nonno materno Adolfo è come se fosse suo figlio, non suo nipote. E questo rappresenta un bene e un male. Un bene: perché Adolfo impara a leggere e scrivere e ad andare per mare prima degli altri, dal momento che essendo iper stimolato acquista velocità in molte attitudini. Un male: perché fin da quando inizia a pedalare la prima bicicletta con le rotelle, il padre viene sempre considerato un gradino più in basso del nonno che di fatto instaura una dittatura affettiva sul nipote con divieto per i genitori di intromettersi nell’educazione del nipote. Il che causa non poche liti fra Alessandra e suo marito Roberto, perché Alessandra, madre di Adolfo, è più per i genitori che per il marito che di fatto viene relegato a un semplice optional familiare.
I suoi consigli? Inutili. Le sue riflessioni? Superflue. I suoi proclami? Esagitati. I suoi reclami? Noiosi.
Adolfo dunque considerato il reuccio di un reame i cui capostipiti erano di fatto i veri depositari dell’educazione cresce fra vizi,coccole e seduzioni a quattro stelle. A lui viene regalata una vela a otto anni. A lui vengono confezionati pasti da chef. A lui e solo a lui vengono deputate premure ossessive anche nell’eleganza e nel tipo di scarpa. Risultato: Adolfo è un piccolo moccioso che a quattordici anni viene segnalato dai servizi sociali per violenza e carattere chiuso, per episodi di sopraffazione e di vandalismo. Inutili ovviamente a questo punto le prediche del padre. Ovvie le scenate in casa su chi decide chi deve decidere e come. La madre Alessandra a parole sta dalla parte del marito a fatti sta dalla parte dei genitori.
Adolfo, quando viene in consultazione psicoterapica, arriva con un ghigno sardonico,e un’arroganza degna dei bravi dei bravi di manzoniana memoria.
Si faceva bello di essere riuscito a rubare un motorino e di non essere stato neppure denunciato a causa dei suoi soli tredici anni!
La sua arroganza era tale da far venire la voglia di prenderlo a sberle.
Primo: perché si riteneva più intelligente del padre che lavorava tutti i giorni, più furbetto e capace di arrivare chissà dove. Secondo: perché non avendo ricevuto una educazione alla sottomissione, sottometteva di fatto solo con lo sguardo e con l’atteggiamento cosiddetto anaverbale (cioè senza usare le parole): mani in tasca, spalle supersquadrate, braccia chiuse, il contesto.
Aveva solo quattordici anni, ma si sentiva padrone di tutto. Lui avrebbe deciso che fare nella vita. Solo lui poteva decidere se e quando andare a scuola e se era il caso di farlo. Inoltre trovava del tutto lecito uscire e andare dove voleva, perché i freni non li aveva e mal li sopportava.
Un giorno suo padre lo prese per il collo e gli disse “se vai avanti cosi ti rompo la faccia”. Il risultato fu che Adolfo sparì per due settimane da casa, di fatto inibendo qualsiasi possibilità di manovra per i genitori.
Naturalmente quando tornò, se ne tornò in tana dai nonni che lo coprirono di affettuosità per il solo fatto che era vivo.
Adolfo non solo era egoista, ma gli piaceva vedere soffrire i suoi genitori, provava un piacere immenso a vedere negata la loro possibilità di educarlo.
Stava bene quando loro stavano male. Provava piacere a vedere piangere soprattutto suo padre, che era abbastanza mal visto dai nonni. Della madre non gliene importava niente, perché riteneva sua nonna la figura materna e la madre una specie di sorella.
Provava soprattutto piacere a veder fregati gli adulti di riferimento,come i carabinieri che non potevano portarlo in galera dal momento che era minorenne.
Di questo si faceva vanto con le ragazze, che lo trovavano una specie di eroe negativo e che dunque gli andavano dietro come affascinate da questo potere perverso.
La sua crudeltà mentale fu tale che, il giorno che gli si parò di fronte suo padre per fermarlo (lui rubava direttamente alla cassa), gli spaccò il cranio e poi, accompagnato dai suoi cari amici di rissa, se ne andò al ristorante dei suoi e spaccò tutto, piatti, bicchieri, tavoli e sedie.
Tanto che il padre, dovette chiudere e andarsene a vivere altrove. Fece litigare tanto i suoi genitori da spaccarli in due e dividerli.
Di recente solo un decreto del Tribunale, su denuncia del padre, a diciotto anni scaduti, lo hanno fermato. Ora è in carcere.
Ma la psicoioga di sorveglianza dice che questo piacere di fare del male è talmente radicato in lui che quando uscirà sarà di sicuro tentato di rifare le stesse cose. Inoltre, mancandogli un mestiere, pare che abbia fatto della capacità di rubare una forma di know-how avanzato.
Quando l’ho rivisto in Tribunale, chiamata a a deporre circa le circostanze, aveva lo stesso sguardo di sfida e di diffida.
Quanto tempo sarà necessario per cambiargli il modo di guardare il mondo? La crudeltà mentale nasce sul terreno del vizio e della perversione morale.
Della persone che viziano e dei ruoli scambiati.
America Oggi, 4 giugno 2000